Se si vuole avere prestigio nel mondo bisogna dare ai piatti qualcos’altro, oltre al cibo.
Questo vuol dire avere 3 stelle Michelin e Massimo Bottura lo sa bene.
Modenese nel respiro, è lo Chef più importante al mondo.
Per me e per tutti.
La sua storia enogastronomica inizia insieme a lui.
Nasce nel 1962 in una famiglia numerosa.
È il più piccolo di 4 figli, 3 maschi ed 1 femmina, sempre vivace e sempre di corsa come un pazzo.
Spia la nonna sotto il tavolo, rubando i tortellini crudi appena fatti dalle sue mani.
È in questo gesto che si racchiude tutto il suo amore per la cucina:
portare i commensali a rubare attimi fuggenti di ricordi all’infanzia.
Massimo prende i piatti di casa e li cucina in una maniera mai vista prima.
In Italia il cibo che scalda l’animo lo si trova da mamma, da nonna, e Modena è una piccola cittadina con una forte tradizione gastronomica che avvalora questo concetto, perciò i modenesi sono molto esigenti quando si parla di cibo.
È proprio per questo che durante i primi anni di vita della Trattoria a Campazzo, rilevata da Bottura a soli 24 anni, non vi sono modenesi.
I modenesi si sentono distanti anni luce da quegli stravolgimenti e vedono perse le loro tradizioni.
Un giorno bussa alla sua porta quella che sarebbe poi diventata la sua azdora del cuore, insegnante della pasta emiliana fatta in casa: la signora Lidia Cristoni.
Farina, uova, mattarello, tortellini, lasagne, e poi, prima di ogni servizio, tutti seduti a mangiare insieme.
Un senso di famiglia intenso e, finalmente, un meritato successo.
A quella della signora Lidia seguono la cucina di Georges Cogny e quella del celebre Alain Ducasse: quest’ultimo, dopo aver mangiato la sua pasta fatta in casa, lo porta con sé per qualche mese al Louis XV.
Ma tra Modena e Montecarlo, una parentesi newyorkese gli dona Lara, che diventa pochi anni dopo la sua sposa e compagna di vita: con lei crea una meravigliosa famiglia con due figli; con lei porta avanti il suo progetto culinario.
Credo che a Lara Gilmore si debba buona parte del successo dell’Osteria Francescana, la piccola perla che Massimo Bottura apre pochi anni dopo, forte e impavido, al numero 22 di Via Stella a Modena.
Lara lo avvicina all’arte ed è proprio l’arte che lo sveglia definitivamente dal torpore.
Un’installazione di piccioni che, in alto appollaiati, sporcano di sterco i quadri importanti presenti alla Biennale di Venezia, gli da la conferma che il solo modo per cambiare la cucina italiana è quello di sfregiare la generazione prima di lui: un atteggiamento provocatorio, un andare contro le convenzioni, un risalire il fiume Pò.
Proprio come quei piccioni.
Da quella volta a Venezia, l’arte ha molta influenza sul suo modo di concepire la cucina che assorbe a sè diversi incontri, come quello importante con il guru molecolare, Ferran Adrià, che gli fa amare questa scienza in cucina applicata poi ai piatti della tradizione.
Quello che accade è fantastico e finalmente sopraggiungono saldi riconoscimenti:
1° stella Michelin nel 2002, miglior chef emergente Gambero Rosso, 2° stella Michelin nel 2006, 3° stella Michelin nel 2012 e finalmente nel 2016 The 50 World’s Best Restaurant incorona la sua Osteria Francescana al 1° posto tra i migliori ristoranti del mondo.
La cucina di Massimo Bottura è una commistione di musica, arte, tradizioni, materie prime, rischio.
Quello che lui fa non è semplice elaborazione del cibo.
Il concetto dietro all’elaborazione rende il suo cibo un’esperienza attraente per i sensi.
Tutti quei piatti sono fatti con ingredienti della tradizione modenese, ma usati in una maniera diversa rispetto a una trattoria.
Uno degli ingredienti più importanti nel suo cibo è la memoria:
la sua memoria dell’assaggiare le cose, del come sono fatte, del prendere i ricordi e reinterpretarli in una chiave in divenire.
Il Parmigiano è il suo perfetto Umami: quell’equilibrio tra dolce, salato, acido e amaro che non fa sentire nulla se non tutto quello che c’è da sentire prima di morire.
Massimo conosce intimamente il Parmigiano, fino alla sua crosta.
I suoi muscoli sono fatti di parmigiano reggiano.
Il suo fiato.
Così, dopo il terremoto dell’Emilia del 2012, che causa la distruzione di migliaia di forme di Parmigiano Reggiano, collabora a sostegno dei produttori, realizzando una ricetta che fa il giro del mondo, il Risotto Cacio e Pepe, dove ingrediente principe è proprio il Parmigiano Reggiano.
Un anno più tardi, nel 2013, ho l’onore di conoscerlo alla Festa della Rete e di assaggiare il suo risotto parmigiano che unisce in sè rotazione ed evoluzione.
Massimo Bottura è un rockettaro, uno elettrizzato che si emoziona, uno che lavora tanto, senza cazzi e mazzi.
La sensibilità artistica di Massimo è diversa da tutto quello che ho visto fino ad ora.
Il mio sogno? Sedere alla mensa francescana e gioire dei suoi doni futuristici.
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